Recensione di L’attimo o l’eternità
a cura di Valeria Di Felice
L’attimo o l’eternità è un’opera
che presenta uno scenario letterario ottimale per riflettere su tematiche
di alto lignaggio filosofico e spirituale: il senso dell’esistenza
e la sua costante ricerca da parte dell’uomo.
La riflessione inizia a prendere consistenza a partire dall’incontro
a Porto Sciusciau (Sant’Antioco – Sardegna) dei due protagonisti,
Francesco ed Evelina.
Francesco è uno studente universitario di filosofia, che dimostra
di avere una spiccata sensibilità intuitiva verso il mondo dell’arte
e del pensiero più subitaneo e profondo dell’orizzonte
umano.
Evelina, invece, è una ricca ragazza, quasi trentenne, tormentata
da problematiche esistenziali che la inducono a condurre una vita “al
di là del bene e del male”, svincolata dai dettami della
morale comune, e ad esprimere il proprio disagio interiore con la pittura.
Ed è proprio nel momento in cui Francesco inizia ad interpretare
le tracce espressive presenti nei quadri di Evelina, che i colori, le
forme, i contorni delle immagini pittoriche diventano il pretesto per
meditare su una ragion d’essere che va al di là del significato
visuale ed estetico: essi non sono altro che il riflesso di un’intimità
inquieta, frustrata nella ricerca di un senso della vita che non può
essere portata all’infinito se non con determinazione e un grande
investimento emozionale. Ed ecco che le “mostruose macchie e sfumature
di blu scuro” dipinte in contrasto con la briosità e la
vivacità dei colori della gioia di vivere, diventano la prefigurazione
dell’enigma di quel Nulla che, nonostante la sua astrattezza,
è in grado di appesantire l’esistenza dell’uomo e
di metterlo in scacco. Un’arte, dunque, che nasce dall’insostenibile
vuoto di significati, dall’incapacità di penetrare oltre
lo scibile, di gettare lo sguardo al di là dell’esperibile,
ma anche di narcotizzare la brama di verità.
Attraverso la storia di Evelina e della sua complicata relazione sentimentale
con Francesco, l’Autore Maurizio Cario induce, in modo sottile
e mai monotono, il lettore a riflettere sull’eterno travaglio
spirituale che attanaglia la coscienza umana.
Condannato alla libertà di scegliere e costretto a farsi carico
dell’angoscia e dell’inquietudine del vivere, all’uomo
non rimane altro che decidere se continuare ad esistere nell’attimo,
la vita tutta, nella sua sofferenza e continua ricerca di un significato,
o se tuffarsi nelle macchie scure che nascondono l’eternità,
dove l’esistenza si dissolve per lasciare il posto all’essenza.
Neanche l’amore, vale a dire quel vano tentativo di assorbire
l’altro per attribuire un senso all’esistenza, riesce a
riscattare l’afflizione della condizione umana di fronte all’incomprensibilità
della vita e della morte. L’amore non è altro che un estasiante
accadimento che ci illude di poter colmare il vuoto del nonsenso.
In questo costante impegno nel scegliere, nel farsi, l’uomo è
paradossalmente obbligato a decidere tra la vita e l’eternità,
ma non è altrettanto libero di scegliere il suo essere, cioè
il suo fondamento ontologico.
Di contro a questo tormento e a questa disperazione, quale sarà
la scelta di Evelina e di Francesco? Troveranno la soluzione nell’attimo
o nel silenzio dell’eternità, vale a dire di quella dimensione
estranea alla condizione terrena dove si nasconde la vera essenza umana
e dove il mistero della vita potrebbe rivelarsi solo al pensiero che
ha oltrepassato la propria finitezza?
Le vicende narrate in questo romanzo sono molto di più di un
semplice artefatto letterario: il loro potere seduttivo, ovvero la capacità
di “condurci” all’ascolto della nostra prensione intuitiva
e alla ricognizione più viscerale della vita, fanno sì
che possiamo trarre un grande profitto dalla lettura attenta e meditata
di queste pagine.